Ultimamente ho riletto una favola di Luis Sepulveda, “Storia di una lumaca che scoprì l’importanza della lentezza”. E’ un racconto che consiglio a tutti, grandi e piccini. Come altre opere dello scrittore, racchiude diversi messaggi e significati che possono essere compresi e goduti a seconda delle età. Riletta oggi infatti mi è parso di cogliere una metafora nuova che voglio provare a raccontarvi.
(Le parti in corsivo sono prese pari dal libro)
La favola comincia in un giardino fiorito, il Paese dei Denti di Leone, chiamato così dalle lumache che ci abitano. Ogni giorno queste lumache ripetono le stesse abitudini: riunirsi sotto i rami di un grande calicanto e mangiare le foglie di dente di leone.
“Che cosa abbiamo da mangiare?” chiedeva una.
“Dente di leone. Saporite foglie di dente di leone” rispondeva l’altra.
“Vorrei mangiare qualcosa di molto saporito” diceva una.
“Ti consiglio il dente di leone” ribatteva l’altra.
Le lumache sapevano di essere lente e sapevano che la lentezza le rendeva vulnerabili eppure per non spaventarsi preferivano non parlarne accettando con rassegnazione di essere lente:
“è la vita, non c’è niente da fare”
Vi suona familiare? Se ci fermiamo a riflettere possiamo accorgerci che tutti noi mettiamo in atto delle “abitudini”, degli automatismi. Ed è altrettanto probabile che quest’ultimi siano sostenuti da delle credenze. Eccone un esempio: “nella vita, alla fine dei conti, devi sempre cavartela da solo”. Automaticamente, saremmo portati a non condividere le difficoltà con i nostri cari e ogni qual volta che si presenta un problema sarà un’abitudine quella di farsene carico da soli. Oppure ci sarà anche capitato di provare a farci aiutare, ma non si sa come finiamo sempre per ripeterci la stessa credenza: “alla fine dei conti, devi sempre cavartela da solo!” … è la vita, non c’è niente da fare.
Nel Paese dei Denti di Leone però c’era una lumaca che pur accettando una vita lenta, molto lenta, voleva conoscere i motivi della lentezza. E non solo! Da sempre le lumache non avevano un nome e si chiamavano tra loro semplicemente “lumaca” provocando, come immaginerete, facili fraintendimenti.
Ecco che qui inizia l’avventura della protagonista di questa favola che decide che farà ritorno al Paese dei Denti di Leone soltanto quando avrà capito il motivo della sua lentezza e avrà finalmente un nome.
E cos’è la psicoterapia se non un viaggio in cui andiamo alla scoperta del nostro funzionamento?
Un viaggio in cui ricerchiamo “un nome”, che sarà solo nostro, perché soltanto dalla nostra storia, che è unica, potremmo comprendere come mai pensiamo determinate cose, come mai ci comportiamo in determinati modi o proviamo determinate emozioni.
“una voce sconosciuta le ripeteva che la lentezza doveva avere un motivo e che possedere un nome suo, soltanto suo, un nome che la rendesse unica e inconfondibile, doveva essere una cosa meravigliosa”.
Il primo personaggio che incontra la lumaca è il gufo che “apre gli occhi la sera e vede tutto quello che c’è e li chiude di giorno e vede tutto quello che c’è stato”. La lumaca gli chiede i motivi della sua lentezza: “sei lenta perché hai sulle spalle un gran peso… tutto ciò che hai visto, tutto ciò che hai provato, amaro e dolce, pioggia e sole, freddo e notte è dentro di te, e pesa, ed essendo così piccola quel peso ti rende lenta”
Attraverso le parole del gufo possiamo comprendere che i nostri automatismi, le nostre abitudini, le nostre credenze sono il frutto delle nostre esperienze passate. Mantenendo l’esempio fatto in precedenza potremmo dire che oggi affrontiamo le difficoltà della nostra vita da soli perché in passato qualcuno ce l’ha insegnato, ce l’ha mostrato o perché abbiamo fatto esperienza di chiedere aiuto e di restare inascoltati.
Eppure alla lumaca il suo guscio non era mai sembrato così pesante.
Ecco un altro importante spunto di riflessione: se siamo abituati a certi automatismi, quand’è che siamo pronti a mettere davvero in discussione il nostro sistema di riferimento? Se nella vita abbiamo imparato che bisogna sempre cavarsela da soli quando comincerà “a pesarci” il fatto di non condividere i nostri problemi con qualcun altro?
Iniziare una psicoterapia è il primo segnale, spesso inconsapevole, che quel peso comincia a farsi sentire.
Il viaggio della nostra protagonista quindi continua e avviene l’incontro con la tartaruga, di nome Memoria.
La lumaca le chiede dove stava andando e Memoria risponde che non era la domanda giusta e che avrebbe dovuto chiederle da dove veniva. Ancora una volta Sepulveda ci ricorda che solo dopo aver volto lo sguardo verso il nostro passato, acquisendo consapevolezza, “memoria”, di ciò che siamo stati, possiamo sapere dove andare in futuro. In psicoterapia, come in questa favola, questo processo avviene in relazione, o meglio, tramite la relazione. Infatti sarà proprio grazie all’incontro con la tartaruga Memoria che la lumaca andrà alla scoperta dei pericoli che minacciano il Paese dei Denti di Leone: un gruppo di umani sta costruendo delle case e minacciano di spazzare via tutto. E sarà sempre Memoria ad attribuirle un nome: “Ribelle”, perché è così che gli umani chiamano chi si fa delle domande scomode.
Una volta visto cosa succede al di là del suo usuale prato fiorito Ribelle si chiede:
“non so se voglio conoscere i motivi della lentezza oppure tornare dalle mie compagne e avvertirle dell’oscuro pericolo che incombe sul prato”
La tartaruga le disse che se lei non fosse stata una lumaca dall’andatura lenta, molto lenta, se invece della sua lentezza avesse avuto il volo veloce del nibbio, la rapidità della cavalletta che copre a salti enormi distanze, o l’agilità della vespa che ora c’è ora non c’è perché è più veloce dello sguardo, forse non sarebbe mai stato possibile quell’incontro di esseri lenti come una tartaruga e una lumaca.
“Capisci?”
“Credo di sì. La mia lentezza è servita ad incontrarti, a farmi dare un nome da te, a farmi mostrare il pericolo, e ora so che devo avvertire le mie compagne”.
Questo scambio ci fa riflettere sul fulcro della psicoterapia. La domanda a cui trova risposta Ribelle non è più “perché sono lenta” ma “a cosa mi serve essere lenta” e la risposta a cui giunge arriva tramite l’esperienza che ha fatto di essere lenta, di essere lenta con l’altro.
Ed è esattamente questo quello che avviene nell’incontro fra terapeuta e paziente. Quest’ultimo sperimenta i propri vissuti, le proprie emozioni. Rivede e rivive le esperienze originarie insieme al terapeuta ed è tramite questa esperienza di accettazione senza giudizio, vicinanza e rispecchiamento che non solo comprende il significato ma anche la funzione delle sue credenze, dei suoi automatismi, del suo modo di stare al mondo. Per tornare al nostro esempio: se da piccolo non c’era nessuno che poteva aiutarmi imparare a cavarmela da solo è stata la decisione più saggia che potessi prendere. Ecco che la relazione terapeutica non si ferma alla comprensione, ma arriva all’accettazione amorevole, da parte del cliente, attraverso l’incontro con il terapeuta, di chi sono alla luce di che esperienze ho fatto.
Nella favola l’accettazione del proprio funzionamento, questa nuova “guida interna amorevole” è rappresentata dell’incontro con la formica e con la talpa, personaggi che Ribelle avverte del pericolo e che si dimostreranno estremamente riconoscenti:
“è grazie alla tua lentezza che ci hai avvertite!”
Solo dopo aver raggiunto questo importantissimo traguardo, possiamo prendere delle nuove decisioni.
Imparare a cavarmela da solo è stato fondamentale per la mia esistenza, ha avuto senso.
Oggi ne ha ancora?
Oggi posso decidere che voglio imparare a condividere le mie difficoltà con qualcun altro.
Ecco che Ribelle fa la sua scelta e decide di andare alla ricerca di un nuovo Paese di Denti di Leone. Saluta Memoria: “grazie Memoria, ti porterò sempre con me!” e durante il suo viaggio infatti, condiviso con altre lumache che si affidano a lei, terrà sempre a mente cos’ha imparato dall’incontro con la tartaruga ad esempio rifugiandosi sotto le foglie quando giunge la notte o attraversando la strada costruita dagli umani al momento giusto.
Allo stesso modo in psicoterapia una volta deciso di voler imparare a non farsi soli sarà importante tenere conto della propria protezione ad esempio riconoscendo quali situazioni ci mettono più a rischio di attivare il vecchio automatismo e fare esperienza di solitudine o scegliendo bene con chi condividere le nostre difficoltà.
Non mancheranno i “dietrofront”, momenti in cui, sollecitati da stimoli di vita particolarmente stressanti, si tornerà ai vecchi schemi, ai vecchi modi di fare, ed è la stessa Ribelle a ricordarcelo quando di fronte all’ennesimo ostacolo che trova nel suo cammino che la allontana dal Paese dei Denti di Leone si chiede:
“a che mi serve essere lenta?”
“sono solo una lumaca, lenta, molto lenta”.
Ma la nostra protagonista non si darà per vinta e ancora una volta attingerà alla ricchezza degli incontri fatti sul suo cammino e si ricorderà di aver imparato che un vero ribelle conosce la paura e sa vincerla.
In psicoterapia possiamo imparare quindi, invece di ignorare le nostre emozioni o di tenerle sotto controllo a conoscerle a farle parlare e ad acquisire degli strumenti che ci permettano di prendercene cura.
Sarà così, tramite la consapevolezza dei significati riguardanti la propria storia, tramite nuovi occhi amorevoli e protettivi con cui si è imparato ad osservarsi e grazie alle nuove decisioni prese che si potrà acquisire la libertà e raggiungere ognuno il proprio nuovo prato fiorito:
“Hai mantenuto la parola. Ci ha portato nel nuovo paese del dente di leone”. Disse una lumaca entusiasta.
“No” sussurrò Ribelle, “ti sbagli. In questo viaggio che ho iniziato quando ho voluto avere un nome ho imparato tante cose. Ho imparato l’importanza della lentezza e, adesso, ho imparato che il paese del dente di leone, a forza di desiderarlo, era dentro di noi”.
Dott.ssa Stefania Marzini
Psicologa Psicoterapeuta