In questi giorni il ministro della Salute On. Speranza ha ufficialmente istituito la professione sanitaria dell’Osteopata, definendone il profilo professionale e perciò l’ambito di azione. Il nascituro Corso di Laurea, con percorso triennale, formerà pertanto quei professionisti che svolgeranno “in via autonoma, o in collaborazione con altre figure sanitarie interventi di prevenzione e mantenimento della salute attraverso il trattamento osteopatico di disfunzioni somatiche non riconducibili a patologie, nell’ambito dell’apparato muscolo-scheletrico“.
Voi direte: e cosa cambia? In questo articolo proveremo a fare un po’ di chiarezza sul tema.
Fino ad oggi, la pratica dell’Osteopatia non era regolamentata in Italia, la formazione era (ed è tuttora) quindi tenuta da scuole private, che possono seguire i modelli più svariati, in teoria sulla base di linee guida europee e dell’OMS. La decisione di riconoscere il carattere sanitario della professione ha infatti sollevato un polverone tra chi, con una certa logica, la ritiene una pseudoscienza. Come potete leggere qui, l’osteopatia alla sua nascita aveva un’impronta molto spirituale e, di conseguenza, molto poco scientifica. Ed in questo senso sono il primo a definirla pseudoscienza. Come in qualsiasi disciplina scientifica degna di questo nome, tuttavia, il progresso in osteopatia si fa con gli studi che ne provano (o smentiscono) l’efficacia. Studi che non esistevano, o di scarsa qualità. E’ infatti solamente negli ultimi anni che si sta creando una significativa letteratura in ambito osteopatico, determinando quindi interventi di comprovata efficacia negli ambiti muscolo-scheletrico, vegetativo, craniale, viscerale, pediatrico e così via.

Attualmente, è a discrezione della singola scuola riservare l’ingresso a determinate categorie di persone (medici, fisioterapisti, professionisti sanitari, laureati in scienze motorie, persone con il diploma di scuola superiore), creando una spaccatura tra Osteopati sanitari (meglio ancora se medici o fisioterapisti) e non sanitari (che non potrebbero lavorare su patologia). Quello che cambia, oggi, è il grado di tutela del cittadino. Sì, perché con il riconoscimento della professione sanitaria, in primis, si garantisce un “livello minimo” di istruzione (ora determinato dal titolo di studio pregresso, giudicate voi dalla breve lista qui sopra), ed in secondo luogo subentrano gli obblighi di iscrizione all’albo professionale e di formazione continua.
Quello che resta, invece e purtroppo, è un alone di incertezza su quello che effettivamente farà il “nuovo” osteopata. Oltre alla parziale sovrapposizione (in teoria vietata dalla legge italiana) con il profilo professionale del fisioterapista, viene limitato l’ambito di intervento a quello muscolo-scheletrico, non come cura ma come prevenzione.

Come vedete, molti punti rimangono ancora da chiarire, anche a causa del meccanismo tipicamente italiano delle sanatorie, zone grigie, interpretazioni ampie. Sta di fatto che un primo mattone è stato messo verso una regolamentazione della professione. Quanto sia solido questo mattone lo vedremo presto.
Nel frattempo, a Studio Kea trovate un Fisioterapista, laureato, iscritto all’albo, con un master Universitario di I livello, con C.O. – Certificato in Osteopatia. Abilitato, pertanto, non solo alla prevenzione ed al mantenimento della salute muscolo-scheletrica, ma anche al trattamento, quando di propria competenza, di condizioni patologiche ad origine viscerale o del sistema nervoso vegetativo.
Marco Starri
Fisioterapista, Osteopata C.O.